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Vecchio 13-11-07, 14:11   #29
SGHED
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Predefinito Cacca e purea

Il 2 marzo prossimo saranno trentadue anni che quella piccola coppa continua ad osservarmi quotidianamente dalla sua bacheca di vetro nel salotto bello di casa.

E’ piccola, tonda, lucente. Amica silenziosa. E sara’ lei, unica, ad accompagnarmi sotto terra quando me ne andro’ definitivamente, un giorno, tra le lacrime degli amici e dei parenti e l’indifferenza degli altri miliardi di persone che di Max non gliene era mai fregato assolutamente nulla.

Lo metterò per iscritto.

E lei cosi’, fedele nel tempo, mi accompagnerà silenziosa per continuare, nel buio, quel suo ruolo di testimone assunto involontariamente tanto tempo fa.

Me la consegnarono al termine di un “Della Favera” in un San Martino di Castrozza tutto innevato, in una fredda mattina di marzo di 10.950 giorni fa.

Ed io la strappai letteralmente dalle mani di una allora piacente Franca Roberto, indeciso per un attimo , esaltato dall’eccitazione del momento e dall’euforia ormonale dei miei vent’anni se afferrare lei, fragile oggetto luccicante, o abbrancare uno dei due seni prorompenti della segretaria del mitico Avvocato Stocchino: involontariamente e fellinianamente offerti nel un gesto di un’innocente promiscuità di forme.

Per sua fortuna, per quella volta, optai per la ...coppa

La 124 Abarth era azzurra, con il tetto nero. Era targata Venezia: particolare che speravo, per molti, passasse inosservato.

Era un Gruppo 3.

Non tecnicamente, ma praticamente, ciò significava che sul davanti, appesi al paraurti con con viti, bulloni e filo di ferro eravamo riusciti a piazzare 6 fanali supplementari raccattati nelle varie discariche e auto demolizioni di tutto il veneto, trasformando in appendici luminose 6 scodelle di camion, trattori e aratri che alla fine del complicato maquillage facevano sì una gran bella figura di sé, ma anche una gran brutta luce tutta intorno a loro.

Nulla piu’ !

Al collo uno strangolino giallo, retaggio degli anni settanta , addosso una giaccheventina nera bordata di due strisce giallo blu che nel gelo delle alpi serviva per riparo quanto un’ago di pino. Ai piedi un paio di scarpe da ginnastica. In testa un berrettino jeans alla pescatora comprato di fretta in un negozietto di Fiera di Primiero; tra le mani un book delle note dove ogni destra ed ogni sinistra erano cosi’ grandi nella loro simbologia da occupare ciascuna mezza pagina di quaderno.

Questo era Max il 16 marzo 1976 cosi’ come lo ritrae una fotografia della personale raccolta “panini”: cinquanta chili di pelle ed ossa, un naso volitivo ed una super senza filtro, inseparabile amica di tutte le sue notti insonni.

Non ricordo come arrivammo alla fine…so solo che mi consegnarono quelle piccola , tonda e luccicante coppa. La prima , la vera: trofeo che presentai il giorno dopo , orgoglioso a mia madre come simbolo di una conquista inaspettata, della conferma della realizzazione di un sogno e di un’utopia, di una giustificazione di un atto compiuto e contemporanea dichiarazione di una scelta fatta, di un patto suggellato con il destino, una volta tanto , finalmente, complice felice in una precisa scelta di vita….

Trent’anni sono molti. Sono mille gare, l’eta’ di un figlio mai avuto, la consapevolezza della trovata maturita’; il rispetto del ricordo, il desiderio della continuita’ e la paura dell’ inconcretezza.

Trentenni sono molti. milioni di chilometri, i campionati vinti, gli anni in ford, in Mitsubishi, in Subaru, le notti a fianco di Cunico, di Presotto, di Tony. Le pazzie lungo le speciali di tutto il mondo, i trasferimenti in kenia, le strategie, le furbate, le gelosie, i rancori, i pianti, le paure,le idiozie, le notti insonni, i contratti non firmati, le gioie delle vittorie, gli abbracci dei meccanici, le urla della gente, le stilettate dei giornalisti, l’euforia, la stanchezza, l’esaltazione, l’intelligenza, la cultura sportiva, le anticamere d’ospedale, i funerali, i pianti nel ricordo, il calore di un bacio , l’odio nel rancore.

Trent’anni sono molti se dedicati per 24 ore al giorno, per 10.950 giorni alla cultura dell’effimero e dell’ illusione.

Non so come arrivai a quella gara.

Ricordo solo tanta neve. Un’infinita’ di testa coda. Dei lumini accesi lungo i tornanti del passo Giau, ad indicarci che li’ , oltre quel punto vi era uno strapiombo od un burrone. Ricordo delle taniche di benzina. Gomme chiodate, meccanici stralunati che ci seguivano e ci servivano lungo ridicole strade di montagna, abbarbicati come pastori in un presepe illuminato.

Non so come arrivai a quella gara, ma so solo che essa fu l’inizio della mia carriera.

Sulla bacheca una piccola coppa tonda e lucente mi saluta ogni sera. Vicino a lei altri feticci di una vita romanzata e romanzesca. Hanno scritte in greco, in francese, in inglese sono belli, particolari. Sembrano candeline di una torta dagli spicchi di storia. Alcuni sono nobili ed importanti, parlano di campionati mondiali, europei, di gare in Africa o nella lontana Australia …altri sono solo carichi di mille simbologie e ricordi; ma quando quel giorno verra’, con me, come v’ho detto portero’ solo lei: una piccola coppa lucida e tonda, anche per poter colloquiare con qualcuno, nei lunghi periodi di noia e di solitudine: per chiederle di raccontarmi di me e per dirmi, chissà ’, almeno una volta e definitivamente come arrivai in quella gara il 2 marzo del 1976.


Max Sghedoni
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